
Mamme al lavoro? Un vero disastro
- Numeri e storie ci parlano di discriminazione ma soprattutto di strutture pubbliche inadeguate, assenti o troppo costose, di un welfare che non c’è. Serve un profondo cambio di passo sui diritti delle lavoratrici (e delle famiglie), e non spot elettorali
Ha fatto clamore, lo scorso ottobre, la protesta di una decina di mamme dipendenti dell’outlet di Valmontone, vicino a Roma, che chiedevano una domenica libera al mese per stare in famiglia: a protestare con loro i mariti e i nonni-baby sitter. Quel giorno la portavoce della protesta era stata una ex-dipendente - l’unica che poteva parlare senza rischiare più il posto - una lavoratrice che aveva dovuto scegliere di licenziarsi perché non aveva trovato modo di conciliare lavoro e maternità.
Qualche mese prima a Grassobbio una donna rientrata dalla maternità era stata licenziata per “soppressione del posto di lavoro”: un licenziamento rientrato grazie solo alla solidarietà e allo sciopero dei suoi 230 colleghi.
E poi l’infermiera di Cene, vicino a Bergamo, madre di tre figli e costretta a dimettersi perché il Comune non le ha concesso il part time.
O ancora le dipendenti di un’azienda di pulizie all’ospedale di Magenta, costrette a turni che impedivano anche solo di portare i figli al nido o all’asilo, che si sono presentate al lavoro con i bambini in braccio…
Sono solo alcune delle tante storie che negli ultimi mesi sono finite “agli onori della cronaca”, o sarebbe più opportuno dire al disonore di questo Paese che tanto lamenta la scarsa natalità e poi penalizza - fino al licenziamento o alle dimissioni - le mamme lavoratrici. E, stando ai numeri dell’Ispettorato del lavoro (che considera solo le dipendenti regolari, non tutte le mamme che hanno invece contratti “flessibili”, collaborazioni, partite Iva, contratti a termine a scadenza e non rinnovati…) ci sono state solo nel 2016 ben 24mila 618 storie così: mamme che hanno lasciato il lavoro con dimissioni, dichiarando come motivazione l’impossibilità di conciliare lavoro e maternità. Un disastro per qualunque Paese civile.
Il sindacato è da tempo che denuncia una impennata nelle dimissioni per maternità, e già lo scorso agosto, in questo stesso spazio, avevamo anticipato i dati dell’Ispettorato del Lavoro sul boom di dimissioni resi pubblici in questi giorni: ma è un’emergenza - se di emergenza si può ancora parlare, essendo ormai un fenomeno strutturale - su cui non si può abbassare la guardia, visto che le politiche messe in campo fin qui - e limitate ad aiuti economici a pioggia - non hanno aiutato le neo-mamme e le famiglie.
Eppure, basta ascoltarle le donne, basta leggere i blog collettivi delle mamme: parlano di stipendi che non bastano a pagare le baby-sitter, di datori di lavoro che negano permessi, di asili che chiudono a metà pomeriggio (“E quanti lavori finiscono alle 4?”), di nonni che non ce la fanno più a seguire i nipoti, di nonne che devono lasciare il lavoro per consentire alle figlie di non perdere il proprio…
Sono numeri e storie che parlano di discriminazione sul lavoro ma anche e soprattutto di strutture pubbliche inadeguate o assenti o troppo costose, di una politica del welfare che non c’è. Serve un vero cambio di passo, sui diritti delle lavoratrici e delle famiglie: la “conciliazione lavoro e famiglia” non può più essere ridotta a tema di convegni o a promessa elettorale. Tanto le donne non ci cascano.
di Silvia Garambois
11/01/2018
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